Premetto che non sono né pessimista né ottimista. La vita, le esperienze che essa ti porta a fare, il lavoro e la cultura che ho sempre cercato di coltivare ed incentivare in varii aspetti, mi hanno reso un pragmatico di valore assoluto. Ai discorsi, alle teorizzazioni preferisco il fare.
Per ragioni professionali ho vissuto questo periodo di
crisi in modo passivo, l’ho subìta come moltissimi altri, colleghi e non. I
primi momenti di emergenza, momenti davvero bui, era lo slogan "andrà
tutto bene" ad avere la piazza, Pensandoci bene era un po’ il voler
demonizzare il virus, il voler guardare oltre, lo scacciare i cattivi pensieri.
Soprattutto, per quel che mi riguarda, non far pesare troppo la situazione
sulle spalle dei figli. Che a 11 anni hanno il diritto di non avere il cervello
invaso da messaggi negativi. Andrà tutto bene. Provate a dirlo ai circa
35.000 morti e alle loro famiglie, oppure ai malati sopravvissuti rimasti con
pesanti strascichi . . .
Regola “aurea” del “crisis management”, della
gestione della comunicazione in tempi di crisi (argomento a me molto caro e sul
quale ho fatto nel tempo forti approfondimenti e pubblicato anche un paio di
libercoli/manuali per le aziende) è né rassicurare troppo né intimidire.
Nella gestione italiana della comunicazione del Covid-19 tale regola è stata
totalmente dimenticata, conferma che siamo in mano ad un manipolo di avventati
messi lì per giri si scambio e giri poltronari, come nel più fulgido e lampante
italico esempio.
In questi periodi di disoccupazione forzata mi sono
aggiornato quotidianamente su tutti gli aspetti locali e nazionali che la
pandemia ha generato, sviluppato, discusso. Ho osservato molto come si è
comunicato, dico troppo e male, ed in questa fase lunga ho cercato di mantenere
la massima lucidità, sociale, tecnica e politica.
Retorica e frasi fatte in questi periodi si sono
sprecati. "Andrà tutto bene", diventato uno slogan ossessivo è
stato in buona compagnia. In buona compagnia di pubblicità mielose (alcune
peraltro anche costruite bene) che hanno imperversato insieme ad altre frasi
iper-edulcoranti e buoniste come: "ne usciremo profondamente
cambiati", "abbiamo avuto modo di riflettere su quello che è
veramente importante", "ne usciremo migliori", eccetera.
Quello che siamo oggi è il risultato di alcuni millenni di storia e
non credo proprio che due o tre mesi di isolamento quasi totale possano mutare
profondamente la nostra essenza ”di italiani” più di quanto non abbiano
fatto secoli di guerre, stragi rosse e stragi nere, onestà e
disonestà, cultura e oscurantismo, di prima, seconda e terza repubblica. Siamo
quello che siamo e per questo ciascuno di noi tornerà a essere, in bene e in
male, quello che era prima di questa emergenza pandemica.
Uno dei caratteri che rimarranno nella mente di tutti
è stato lo smart working. Una scoperta per tanti e tantissimi, una
consuetudine per chi fa il mio lavoro come libera professione, il lavoro da
casa lo faccio da anni ed anni, pur anche se ho uno studio (che frequento
sempre meno). Quanto controllo vi sia stato non lo so, sicuramente nel privato
più che nel pubblico. Sicuramente la macchina pubblica ha accusato mancanza di
controllo e organizzazione, magari la persona dabbene che lavorava ed era
produttivo in ufficio, a casa ha lavorato uguale a come fosse in ufficio, ma sicuramente
chi faceva poco in ufficio ha trovato l'ottimale sistema per fare ancor meno.
Abbiamo riscoperto il valore della sanità italiana, che se fosse gestita centralmente senza interferenze e ruberie politiche sarebbe la migliore al mondo sia come strutture che soprattutto come risorse umane. Abbiamo anche visto confermato che per fare politica e aspirare ad un ruolo di comando nazionale non si può essere avventati o avventizi, questo al di là dell’avere o meno una laurea. Serve avere per prima cosa il cervello ed avere spirito di sacrificio e passione nazionalista (non travisatela con “fascista”, eh), avere rispetto per la Nazionale e per la bandiera, simbolo di quello che è stato fatto per arrivare ad oggi. Le partite iva, dal piccolo artigiano alla grande industria (sempre partita iva hanno) onesti hanno donato e supportato generosamente chi operava, ma quel che è uscito fuori dal calderone della pandemia è stata la normale quota di manigoldi, faccendieri e furfanti esistente (alcuni anche ladri di galline) che ha architettato truffe e ruberie a partire dalle mascherine, ai tanti altri prodotti “anti-covid”. Già capitato anche questo, dopo i varii recenti disastri e terremoti. Ad esempio, quelli che "ridevano" il giorno dopo pensando alla ricostruzione con ruberie varie, grandi e piccole li abbiamo avuti anche in questa occasione.
Tornando al doppio quesito iniziale, nel titolo, direi che dopo ‘sta emergenza, non saremo né migliori né peggiori. Saremo esattamente uguali a prima, con qualche passo avanti e qualcuno indietro. Non è, quindi, "andato tutto bene", è semplicemente "andato".
E
credo, tutto sommato, neanche tanto bene …
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